Irish companies breathe a sigh of relief for the pre-agreement on Brexit, which provides “the guarantee that there will not be a physical border between Northern Ireland and the Republic of Ireland and a commitment to maintain an alignment of the rules” between the two parts of the island.
This is what has stated Anne Lanigan, Head of the Brexit Unit in Enterprise Ireland, in her interview to the Italian newspaper “Il Sole 24 Ore” published last Sunday, 10th December 2017.
«Primo obiettivo raggiunto per le imprese irlandesi»
Missione compiuta, almeno per questa prima fase. Le imprese irlandesi tirano un sospiro di sollievo per il pre-accordo su Brexit, che fornisce «la garanzia che non ci sarà un confine fisico tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda e un impegno a mantenere un allineamento delle regole» tra le due parti dell’isola. A commentare così l’intesa è Anne Lanigan, che dirige la divisione Brexit istituita presso Enterprise Ireland, ente governativo che supporta il business irlandese nel mondo. L’agenzia – che conta tra i suoi clienti 5mila aziende esportatrici a capitale irlandese, in prevalenza Pmi – sta comunque lavorando da mesi per preparare le imprese ad affrontare con piena consapevolezza la sfida del divorzio dalla Ue di un partner commerciale di prim’ordine. Ed è perfettamente consapevole dei nodi ancora da sciogliere.
Signora Lanigan, pensa che quello di venerdì sia un buon accordo?
È uno sviluppo positivo per l’Irlanda. Il commercio tra il Nord e il Sud dell’isola è fortemente integrato e un confine fisico creerebbe enormi problemi a imprese e cittadini irlandesi. L’accordo fornisce una garanzia che questo non avverrà e un impegno a mantenere un completo allineamento delle regole. Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo della fase uno, ma c’è ancora una lunga strada da percorrere. È molto importante per noi che ora inizi la discussione sulla futura relazione commerciale tra Ue e Regno Unito: in termini di commercio – ma anche in molti altri settori come la pesca, l’aviazione, la ricerca – l’Irlanda ha in ballo molto di più di qualunque altro Paese, vista l’interdipendenza tra noi e Londra.
Quanto sono strette le relazioni tra i due Paesi?
Il Regno Unito è il nostro maggior mercato: il 35% delle esportazioni dei nostri clienti, oltre 7 miliardi e mezzo nel 2016, va in Gran Bretagna. Siamo molto dipendenti anche in termini di importazioni dal Regno Unito, da cui acquistiamo molti prodotti. E il Regno Unito è anche uno snodo fondamentale delle merci dirette altrove: vi transitano due terzi dei nostri prodotti. In definitiva, siamo completamente interconnessi.
Il discorso vale ancora di più per le due Irlande, in particolare la zona di confine…
Il 13% delle nostre esportazioni nel Regno Unito è diretto in Irlanda del Nord. C’è ormai, grazie agli accordi del Venerdì Santo 1998 e alla comune appartenenza alla Ue, cooperazione, una piena integrazione tra le due parti dell’isola che non sono più distinte. Abbiamo aziende con fabbriche per metà da un lato, per metà dall’altro del confine. E c’è stata negli anni una fioritura economica dell’area.
Quali settori rischiano di subire maggiormente il contraccolpo di Brexit?
Quelli tradizionali per noi: alimentare, ingegneristico, costruzioni. Ma rischia di esserci un impatto un po’ su tutti i settori, senza contare le ricadute in termini di competività, tra sterlina debole e rallentamento dell’economia britannica, più incline a rivolgersi a imprese del Regno Unito.
A Brexit vi state comunque preparando da mesi. Come?
In primo luogo abbiamo cercato di creare una consapevolezza tra le imprese, preparandole allo scenario peggiore, anche mettendo a loro disposizione uno strumento innovativo come la Brexit scorecard, una piattaforma interattiva online con cui l’azienda può misurare la sua “esposizione” a Brexit (l’indirizzo di riferimento è www.prepareforBrexit.ie, ndr).
La nostra strategia è incoraggiare cambiamenti nel modello di business delle imprese, agendo su tre fronti: accrescere la competitività, investire in innovazione, diversificare. Su quest’ultimo fronte, non vogliamo perdere il Regno Unito, ma vediamo che, come mercato, già tende a rallentare: il nostro export è cresciuto del 12% nel 2015, solo del 2% nel 2016. Affinché le nostre esportazioni continuino a crescere, abbiamo pertanto fissato l’obiettivo di aumentare del 50% entro il 2020 l’export nell’Eurozona, il che significa passare dai 4 miliardi di euro del 2016 a 6 miliardi.
E fuori dall’Eurozona?
Seguiamo in genere il trend della Ue, dipende poi molto dai settori. Comunque puntiamo su Stati Uniti e Canada per ciò che concerne l’hi-tech; in particolare, stiamo lavorando alacremente con il Canada per incrementare gli scambi. C’è poi interesse anche per la Cina.
Michele Pignatelli
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